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Mensa Poveri

“Beato l’uomo che ha cura del debole. Beato l’uomo che ha la sapienza del povero” (Sal 40,1)

La mensa del convento dei frati minori di san Bernardino vuole essere un luogo di accoglienza e di ospitalità  semplice per quanti hanno bisogno di un pasto caldo o di una doccia. Sull’esempio di san Francesco che tutti accoglieva e incontrava e di tutti si faceva fratello e compagno di viaggio, vogliamo creare un clima di rispetto e familiarità . All’interno di questo spazio e di questo clima, offriamo il pranzo a circa 100 persone sedute al tavolo e la possibilità  di lavarsi.

La mensa apre alle ore 9:00 e il pranzo è servito alle 11:00, dal lunedì al sabato. In questo tempo di attesa gli ospiti possono usufruire dei servizi igienici. Il servizio docce, è aperto nei giorni di martedì, mercoledì, venerdì e sabato (dalle 9:00 alle 10:00). Vengono anche offerti settimanalmente un cambio di intimo: magliette, mutande e calze, oltre all’asciugamano e al sapone.

 

Accanto ai frati si è formato un gruppo di volontari che a turno prestano servizio per la distribuzione del cibo e la pulizia dei locali. A chi desidera offrire un po’ del proprio tempo per un servizio di volontariato presso la mensa, è richiesta una mattina alla settimana dalle ore 9:00 alle ore 12:00.

Contattare i frati tramite: mensa@sanbernardinoverona.it

 

SCARICA IL PDF dei SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI di VERONA

ITALIANO  INGLESE  FRANCESE

 

Per aiutare la mensa poveri del convento San Bernardino:

5 X 1000  intestato alla FONDAZIONE FRATI MINORI ONLUS, destinazione: Mensa Poveri San Bernardino
FONDAZIONE FRATI MINORI ONLUS, Sestiere Castello 2786 – 30122 Venezia, C.F. e P.Iva: 94068570277
Bonifico Bancario: IBAN: IT 88 K 02008 11739 000101185533 BIC/SWIFT: UNCRITM1M03

Le donazioni per la mensa poveri sono deducibili fiscalmente e godono delle agevolazioni previste dalle normative in materia sia per le persone fisiche sia per le aziende.
Deducibilità fiscale per le persone fisiche:
• la donazione è deducibile dal reddito per un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato, nella misura massima di 70.000 euro annui (art. 14, comma 1 del D.I. 35/05 convertito in legge n. 80 del 14/05/2005).
Deducibilità fiscale per le imprese:
• La donazione è detraibile dall’imposta lorda per il 19% dell’importo donato fino a un massimo di 2.065,83 euro (art 15, comma 1 lettera i-­‐bis del D.P.R. 917/86).
Deducibilità fiscale per le imprese:
• Deduzione del reddito d’impresa complessivo per un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui (art 14, comma 1 del D.L. 35/05 convertito in legge n. 80 del 14/05/2005).
• Dedurre le donazioni in favore delle Onlus per un importo non superiore a 2.065,83 euro o al 2% del reddito d’impresa dichiarato (art. 100, comma 2, lettera h del D.P.R. 917/86).

 

TESTIMONIANZA

Il dramma della povertà e il grido dei sofferenti rimane una domanda alla quale nessuna società, economia e nemmeno ogni singola persona è riuscita a sfuggire. Eppure come cristiani noi possediamo una risposta e questa è per costituzione il Vangelo in quanto è l’annuncio lieto dato ai poveri e agli oppressi, promessa di liberazione.

Vogliamo per questo motivo provare a fare una riflessione partendo dal racconto della moltiplicazione dei pani (Lc 9,10-17)

In questa brano Gesù si fa “povero”, facendosi voce della folla, e come tutti i poveri ci provoca e chiede: “Voi stessi date loro da mangiare”. Chiede qualcosa di più grande di noi, interpella la nostra vita e si pone come grande domanda di senso. E Gesù sembra stare dalla parte dei poveri. I discepoli che hanno avuto l’attenzione di pensare a queste persone senza cibo, si trovano spiazzati dalla richiesta di Gesù che si fa voce di questa gente affamata. I discepoli sembrano affermare: “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen  4,9) Hanno già fatto quanto era in loro potere, aver l’accortezza di pensare ad una soluzione possibile. Cos’altro possono fare? Gesù al contrario sembra farsi carico dei fratelli assumendosi la responsabilità diretta rendendo partecipi i discepoli. Essi, effettivamente non hanno la possibilità di rispondere, ma Gesù sembra volerli coinvolgere nel problema della ricerca di una risposta.

Questo racconto, letto da questa prospettiva, risulta innegabilmente come scomodo e fastidioso. “Date loro voi stessi da mangiare”, è l’amplificarsi di quella domanda che riconosciamo nei poveri e negli emarginati delle nostre città, alla televisione e in ogni fratello che vive in un momento di sofferenza. Che domanda difficile! Se da una parte, infatti, è quasi istintivo e spontaneo voler trovare una soluzione al grido sofferente di molti, questo quesito ci mette davanti alla nostra impotenza e incapacità di poter trovare una risposta. Anche nella gestione di strutture e servizi offerti a persone indigenti e bisognose, ci si trova spesso di fronte a situazioni in cui la soluzione del problema è molto più complessa di quanto noi siamo in grado di sostenere e affrontare e spesso la nostra risposta è solo un piccolo palliativo. Gesù però si fa portavoce di questa domanda, è lui che si fa povero e ci chiede l’impossibile provocandoci e mettendoci in crisi.

Credo che le risposte più immediate siano due: da una parte quella di chi vuole sfuggire all’angoscia provocata dal problema, eliminandolo quest’ultimo ed emarginalizzandolo dalla propria quotidianità o anestetizzandolo con pregiudizi e risposte banali e generiche come “è una scelta di vita…”, “non hanno voglia di lavorare…”, ecc. oppure con piccole elemosine estemporanee “lava coscienza”. Dall’altra parte, chi non si arrende all’indifferenza ma prova ad entrare nel problema delle povertà (è necessario parlare al plurale) e cercano di dare il loro piccolo contributo, inserendosi in una rete di aiuti, ma scontrandosi quotidianamente con i problemi e le angosce dei poveri, che molto spesso il tuo sostegno non risolve. Rischiando di indurire sempre più il volto alle sofferenze che si incontrano e respingendo al mittente le richieste di aiuto che non possiamo soddisfare.

Esiste però una terza via…

Questa non è la via di mezzo ma il tentativo di percorrere una strada di condivisione del problema. È anche qui il provare a dare un piccolo aiuto tra i tanti ma con la consapevolezza che la nostra è innanzitutto una mano tesa più che una risposta. Il desiderio di poter essere vicino per condividere il problema e alzare insieme gli occhi al cielo per chiedere la benedizione di Dio su questa situazione. Questo non elimina lo sforzo, la fantasia e la fatica di cercare una soluzione ma significa voler mettere al centro la persona con le sue difficoltà e non il problema da risolvere con una risposta precisa. È un cambiamento di prospettiva, poiché non cerco di eliminare la domanda ma la accetto, anche nella fatica, ascoltandola e portandola insieme con la persona che me la pone. Significa puntare sulle relazioni e non su un servizio perfetto ed efficiente che in realtà non può esistere. Accogliere la domanda scomoda e prenderla su di sé, accompagnando e accettando insieme anche le sconfitte e le sofferenze.

È una via difficile e impervia ma che spalanca al mondo affascinante che è l’altro, il TU che ti sta di fronte e allo stesso tempo ti costringe ad aprire la porta a Dio perché veda e visiti questa situazione e si faccia  carico di quei pesi.

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